martedì 29 agosto 2017

La pietas straniante di Francesco Sassetto

La seguente recensione è a cura di Lucia Guidorizzi.

C’è una pietas, virtù essenzialmente umana, che deriva da uno sguardo spaesato e al tempo stesso lucido e consapevole nell’osservare il dolore e lo sradicamento, la disarmonia che governa il mondo e le relazioni umane.
Questa pietas rimane sbigottita davanti al male che puntualmente si manifesta nella ferocia indifferenza del quotidiano.
E proprio da qui, da questo sguardo consapevole della dolorosa precarietà insita nella condizione umana che inizia un percorso di consapevolezza che permette di accogliere e riconoscere, per effetto di consonanza, il proprio dolore e quello altrui, facendoli vibrare all’unisono.
Di questa pietas, virtù segreta e vigile, è permeato il bellissimo libro di poesie “Stranieri” (Valentina Poesia 2017) di Francesco Sassetto.


Già l’immagine in copertina annuncia con efficacia emblematica il tema che attraversa il libro: compare una moltitudine indistinta vista di spalle, diretta verso una destinazione sconosciuta.
Ed è proprio intorno a questa sola moltitudine, a questa comunità di anime non fuse, ognuna delle quali è portatrice di pena e di mistero, che si snoda la raccolta poetica di Francesco Sassetto, luminosa testimonianza degli anni bui che stiamo vivendo.
La raccolta è divisa in tre sezioni “Aqua alta”, “Altri annegamenti” e “Stranieri” che scandiscono un percorso attraversato da una profonda pietas eppur scevro da ogni sentimentalismo.

Nella prima parte, intitolata “Aqua alta” vi sono dodici poesie scritte in dialetto veneziano (con traduzione a fronte) .
La scelta di utilizzare il dialetto, lingua madre per eccellenza, diviene una sorta di rito apotropaico, davanti alla marea montante dell’ insensatezza del vivere che ci rende tutti apolidi e reciprocamente estranei.
Il dialetto anima la parola poetica di sonorità , di profondità musicale e, risvegliando gli affetti sopiti, è in grado di penetrare nei precordi e di sciogliere quelle emozioni che si sono cristallizzate a forza di rimanere inespresse.
In questo modo il dialetto diviene una sorta di esorcismo poetico contro il vuoto della società attuale e riconduce ad una visione più umana ed intima dell’esistenza.
Le poesie che compaiono in questa sezione evocano appunto l’acqua alta, fenomeno che periodicamente, in particolar modo in primavera e in autunno si manifesta a Venezia.
Si tratta di acque mnestiche, inconsce, che raccontano vicende dolorose, narrano di esistenze travolte e annientate da forze ostili.
La sezione è permeata da un senso di oscuro fatalismo, ma al tempo stesso da una stoica fermezza che permette a Francesco Sassetto di raccontare i drammi silenziosi del quotidiano, che spesso per fretta e distrazione, non sono neppure percepiti, come nella poesia “Aqua alta” che apre l’omonima sezione

“Xe spario Gigi,
                              ancùo xe sinque mesi, el paron
ga messo ‘n’altroa far co Dino i cafè.

Laqua domàn tocarà da novo i sentotrenta
E se sùpia siroco
                                              Anca de più.”

In “Mama”, dedicata alla madre, Francesco Sassetto ne racconta con  trattenuta commozione il suo disapparire con occhi asciutti ma con tenerezza profonda.

“Xe sta queo che ti volevi, ‘ndàr via de qua,
           dal girèlo, i dotori, la badante,
da qualche altra parte
                                              o nel gnente
megio che qua
                                      cussì
                                                      a spetar.”

In altre poesie compare la scuola, una tematica spesso presente nella poetica dell’autore, descritta come un carrozzone balordo e sconclusionato  pregno di burocrazia, malumori e disagi, ma al tempo stesso vissuta come luogo di trincea, di resistenza, ultimo baluardo di civiltà ed punto di partenza per una ricerca di senso.

La raccolta procede con la sezione “Altri annegamenti”, composta da undici poesie, tutte in italiano, a parte brevi digressioni dialettali, ed è pervasa dalla consapevolezza della condizione di fragilità che appartiene indifferentemente a tutti gli esseri umani, di qualsiasi razza, sesso, età o nazionalità appartengano.
Francesco Sassetto, nel descrivere questa fragilità, inizia col riconoscerla in primis in se stesso  in “Natale 2014”

“Dovrei smettere di fumare, ho due stent
                                                                    piantati nel cuore
il fumo fa male e anche questo mattino di luce imprecisa,
andare e tornare ogni giorno uguale
                                                                         stanca e fa male.”

Per poi raccontare in “Stefania” la banalità del male della violenza domestica a causa della quale ogni giorno vengono uccise tante donne.

“Poi sul giornale a pagina piena, la meraviglia,
il dolore di amici e parenti, due foto a colori,
le foto del prima e del dopo, un poliziotto
che stende il verbale
                                                          le stesse parole.
Non l’avevi davvero capito, Stefania,
il suo grande amore.”

O in “E arrivano ancora” dove si sofferma sul dramma dell’immigrazione clandestina

“e annegano ancora a dieci, a cento alla volta, ogni giorno
una nuova ondata, altri corpi gonfi di mare spiaggiati
detriti di mareggiata
                                          e il caporione leghista alla televisione
fa vomitare”

In quest’ultima appare anche una parte in dialetto, grazie al quale certe considerazioni acquistano un’efficacia più incisiva e drammatica.

Nella vita si può annegare in tanti modi diversi ma il risultato è sempre lo stesso.

La sezione conclusiva “Stranieri” racchiude nove poesie di cui una è in dialetto e le altre in italiano.
“Autobus n° 7” fotografa con acume il degrado della banlieue mestrina in cui un coacervo  disordinato di esistenze alla deriva manifesta quello che Freud definiva “il disagio della civiltà”
E qui, la pietas di Francesco Sassetto si fa alta, infiammandosi di una compassione profonda e al tempo stesso distaccata.

“Nel sette si respira la paura dell’animale
braccato senza via di fuga, occhi attenti
a scansare gli occhi dei migranti, odori aspri
di pelli e vestiti dei nemici, si respira

silenzio e ostilità, tacita avversione, ansietà,
si viaggia tutti a batticuore, tutti ignoranti,
stranieri e distanti, nella notte,
                                                            
                                                             tutti senza amore.”

Oppure nella poesia “Yan Lin” in cui la ragazza cinese protagonista per la sua condizione di sradicamento ricorda per certi aspetti la poesia “In memoria” di Giuseppe Ungaretti.

“Yan Lin sul permesso di soggiorno, ma qui il suo nome
è Giulia, fuggita da chissà quale campagna cinese,
                                        di Mao e del libretto rosso Giulia
non sa niente, ma sa bene la miseria,
                                                             l’acqua alle ginocchia
                                                              la schiena che si spezza
la risaia che ammala e ammazza.”

La perdita del nome da parte dello “straniero” comporta anche la perdita dell’identità e contribuisce ad alimentare la sensazione di spaesamento che compare anche nella poesia di Ungaretti.


“Si chiamava
Moammed Sceab

Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome

Fu Marcel
ma non era Francese..”

A proposito dell’opera di Francesco Sassetto spesso si è parlato di “poesia civile”, ma la sua scrittura va oltre ogni definizione e categorizzazione, in quanto profondamente umana e come tale è in grado di e-ducare chi la legge, conducendo il lettore fuori dagli angusti confini del suo Ego.

Lo sguardo spaesato e spiazzante del poeta non celebra, non sentenzia, non definisce, ma semplicemente accoglie il conradiano orrore della contemporaneità, auscultando il cuore di tenebra di mondi alla deriva e trasforma in canto quel battito oscuro e a tratti indecifrabile.

Francesco Sassetto sa che ogni dolore ed ogni solitudine hanno il medesimo valore in quanto è la condizione umana stessa a renderci tutti stranieri sulla terra, a noi stessi e agli altri. Perciò indaga nelle pieghe di esistenze sulle quali nessuno si sofferma e vede nel volto dello Straniero il volto stesso della condizione umana.

Il risultato di questa sua ricerca è un libro bellissimo intriso di pietas e di coraggiosa opposizione al dilagare dell’indifferenza che travolge la società ed il singolo individuo e leggendolo, s’impara a riconoscere e ad accogliere lo Straniero che portiamo dentro di noi.




Lucia Guidorizzi

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P.S. Trovate il libro a questo indirizzo: www.ibs.it 


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