San Paolo e le zie
“ Non concedo a nessuna donna di insegnare né di dettare
legge all’uomo; piuttosto, se ne stia in atteggiamento tranquillo.” San Paolo,
Epistola a Timoteo
“ Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene
nel Signore.” San Paolo, Epistola ai Colossesi
“E infatti, non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna
dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo.” San
Paolo, Epistola ai Corinzi
L’anima alle donne venne concessa solo nel 585 D.C. da Gregorio di Tours durante il Concilio di
Macon. Prima, queste si potevano tranquillamente e legittimamente vendere,
uccidere, affittare.
In Italia solo nel
1946 viene concesso loro il diritto di voto e solo nel 1981 vengono abrogati il delitto d’onore e il matrimonio riparatore.
Oggi lo stillicidio continuo di morti e violenze nei
confronti delle donne rivela però che c’è ancora molta strada da compiere.
E questa strada bisogna compierla uniti, uomini e donne insieme
lucidamente consapevoli degli aspetti striscianti e meno evidenti di questa
tragedia collettiva.
Ogni volta che una donna fa un passo per scrollarsi di dosso
il giogo di una realtà in cui non si riconosce, in cui si sente umiliata e
offesa, sente dentro di lei una vocina, magari quella di una vecchia zia che le
dice “Porta pazienza, sopporta, il tuo uomo non è peggiore di tanti altri, se
ti ha mancato di rispetto ciò è accaduto solo perché era stanco, nervoso, c’è
di peggio a questo mondo.” E allora la donna stringe i denti, chiude gli occhi
e tira dritta, per amore del quieto vivere, ma qualcosa si spegne per sempre in
lei.
La bellissima antologia curata da Serena Piccoli, “Or-dite!
Trame d’Arte contro la violenza sulle donne” raccoglie testi in poesia, in
prosa e teatrali che investigano sugli strappi e sulle lacerazioni del vivere,
sull’omertà che si crea intorno a queste ferite, sulla “banalità del male” che
porta tante donne ad essere quotidianamente uccise da uomini che le considerano
“cose” da distruggere qualora non corrispondano alle aspettative richieste.
Serena Piccoli, insieme ad amiche ed amici accomunati dalla
passione per la scrittura, disseziona
gli stereotipi e i condizionamenti della società, della famiglia e delle
relazioni, che concorrono e creare i presupposti di questa violenza quotidiana.
Nel monologo teatrale“Non ne usciamo vive” Serena dice:
“Il mio
parroco mi diceva che noi donne siamo nate da una costola di Adamo, siamo
subalterne per natura biologica e religiosa.
Mia nonna mi diceva: ama l’uomo
tuo coi vizi suoi. Sii fedele sempre, a prescindere da come ti tratta.
Mio
nonno mi diceva che la donna è stata creata per accudire marito, casa, figli,
non occorre che lavori.
Mia madre mi diceva che la donna è più brava ad
accudire i figli perché più sensibile, materna e calorosa.
Mio padre mi diceva
che era grave che non sapessi cucinare, come avrei fatto durante il
matrimonio?
Il mio primo ragazzo mi diceva che dovevo fare la donna vera. Non
sapevo ci fosse una donna vera e una falsa.
La mia amica mi diceva che noi
donne istighiamo violenza negli uomini.”
In questo
testo, l’autrice riesce a cogliere con sguardo acuto tutte le modalità per cui
donne si diventa al punto tale da doverne morire.
Quando
una donna rinuncia a se stessa, per compiacere un uomo per cui lei non sarà mai
abbastanza, si sentirà sempre e comunque inadeguata, nonostante tutte le storture
dell’anima che si autoinfligge per accontentarlo. Annientandosi in nome
dell’amato, diviene simile alle dame dai piedi di giglio dell’antica Cina, storpia
e debole, incapace di reggersi sulle proprie gambe.
A volte,
per assecondare la vocina della zia che le consiglia di essere una buona compagna
accondiscendente, si nasconde dietro ad un paio di occhiali da sole, per non
far vedere che ha pianto e va a fare la spesa come se niente fosse, mentre continua
a bruciare in un quotidiano inferno, e nessuno si accorge di nulla.
L’infelicità
di questa donna destinata a soccombere la racconta Francesco Sassetto, con uno
sguardo sgomento e disincantato sulla tragedia di un’ennesima donna uccisa, nella
sua poesia “Stefania”
“Poi sul
giornale, a pagina piena, la meraviglia,
il
dolore di amici e parenti, le testimonianze,
le
dichiarazioni, il pianto unanime dopo il massacro
senza alcuna ragione.
Senza
spiegazione.
Due foto
a colori, le foto del prima e del dopo e
un poliziotto che stende il verbale, le stesse
parole.
Non
l’avevi davvero capito, Stefania,
il suo grande amore.”
Ma il
dolore cresce, si amplifica e macchia il senso del proprio valore di persona,
di soggetto vivo ed in grado di agire nel mondo come scrive Simonetta Sambiase
in “Paronomasia”
Questo
dolore mi ustiona
mi abusa mi
profana
e si
amplifica allo sgocciolare da ogni invasione
dentro
fuori
nel corpo
Questa
dissoluzione del corpo, del Sé corporeo, è prodotta dalla violenza e dalla
mancanza di rispetto per il femminile, che produce nella donna atteggiamenti
improntati ad una profonda insicurezza e disistima che sfocia in comportamenti
autolesionistici come ci racconta una poesia di Clery Celeste che segue
Si
aspetta lo spazio libero della serratura,
quando la casa è lenzuola pulite
il vuoto
e la pace senza il pesonei suoi confronti
e
l’affanno delle colpe, cercare
i miei
resti sotto al letto.
Su ogni
cosa con cui mi hai colpito
rimango e poco a poco mi disgrego.
L’alterità
irriducibile della donna quindi diviene contrassegno delle persecuzioni che
durano da millenni. Eppure, Giorgia Monti auspica nella poesia che segue un
nuovo mondo in cui non ci si debba sottomettere, non essere dominati, ma
neppure dominare.
Nella
pienezza del giorno nuovo
s'infrangeranno
le parole
servite a
niente
e
saranno specchi
per la
memoria.
Il mio
amico qui
si è
appena spolpato
l'ultima
fetta di sarcasmo.
Con le
mie ho già cucito il sacco
per le tue budella.
Questa
antologia, affronta molti temi e problemi con i quali la maggior parte delle
persone evita di confrontarsi poiché
incarnano scomode verità. Pertanto non si può che essere profondamente grati a
Serena Piccoli per essersi fatta carico di questa coraggiosa dissezione dei
meandri più oscuri dell’anima umana, spesso avvolti nella reticenza.
Solo la
parola può sfondare lo spesso muro dell’indifferenza e ricamare nuovi mondi
liberi.
Lucia Guidorizzi declama sue poesie al Bologna in Lettere 2016 |